Fermata Caselli

(Quelle strane porte...)

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Quando, per dirla con le parole di Leonardo, Ludovico il Moro “perse lo Stato, la roba, la libertà e nulla si finì per lui”, il centro della sua splendida corte venne declassato a cittadella militare, il bozzetto in terracotta in scala naturale del Cavallo di Leonardo – pronto per essere fuso - divenne il bersaglio preferito dei tiri di esercitazione delle soldataglie francesi finendo col diventare coccio pesto. Infine, l’intera imponente mole fortificata del Castello subì gravi menomazioni, la più eclatante delle quali fu l’esplosione della Torre del Filarate, dicono in seguito alla caduta di un fulmine. C’è da dire però che gli spagnoli avevano messo del loro riempiendola di polvere da sparo. Si dovettero attendere quattrocento anni per rivederla in piedi, opera encomiabile portata a compimento dal paladino dei Beni Culturali Luca Beltrami, al quale per altro dobbiamo la salvezza del Castello Sforzesco. Se non fosse stato per lui, al suo posto oggi ci sarebbe il quartiere gemello, solo un po’ più chic, dell’umbertino Lazzaretto.
Fra alti e bassi, fino a tutto il 1535, Milano cercò di barcamenarsi fra i discendenti legittimi di Ludovico e gli usurpatori di turno, fino a quando avvenne l’imponderabile: il giovane figlio di Ludovico, Francesco II, nono e ultimo duca di Milano, a soli 35 anni muore a causa di una malattia fulminante, forse un tumore, lasciando vedova e senza eredi la moglie tredicenne Cristina di Danimarca.
Con la sua morte, Milano entra ufficialmente a far parte dei vasti territori dell’impero sul quale non tramontava mai il sole. A partire dal 1549 gli spagnoli, su ordine di Ferrante Gonzaga, cingono città e castello entro possenti mura, i Bastioni spagnoli, per costruire i quali i milanesi subirono una valanga di tasse, la più strampalata delle quali fu senza dubbio quella sulla neve.
Su questa cinta muraria, la più imponente mai stata costruita in età moderna -forse anche la più inutile-, si aprivano porte e pusterle, attraverso le quali passavano persone e soprattutto merci, per il cui ingresso venivano pagati dazi profumatissimi. Ed è proprio per garantire queste entrate che vennero costruite le mura, un efficace sistema per produrre gettiti fiscali continui che, con alcuni “perfezionamenti”, funzionò fin quasi all’Unità d’Italia.
Gli austriaci, subentrati due secoli dopo nella “gestione” della città, trasformarono i Bastioni in ampi vialoni alberati – prevalentemente Ippocastani - lungo i quali le dame milanesi scoprirono il gusto della promenade alberata, oltre quello del pettegolezzo “in carrozza”: ovvero animate conversazioni affacciate alle portiere. Al posto delle casette dei gabellieri fecero costruire imponenti caselli daziari come quelli dell’Arco della Pace, di Porta Venezia, Porta Garibaldi e quelli di Porta Volta, protagonisti della nostra fermata. Costruiti nel 1880 per creare un collegamento fra la città e l’allora nuovissimo Cimitero Monumentale, progettati da Cesare Beruto, urbanista e ingegnere al quale si deve il primo e controverso piano regolatore di Milano, come tutti gli altri fino a quando rimasero in funzione, riscossero i dazi di chiunque entrasse in città, con o senza merci. Fra un corpo e l’altro si trovava un cancello, oggi scomparso, che non solo delimitava il territorio cittadino dalla campagna circostante ma permetteva il controllo capillare di tutto, persone e cose, esattamente come le dogane.